Della necessità di oltrepassare le categorie di destra e sinistra si
parla dagli anni Novanta del secolo scorso, e una delle riflessioni più acute
in merito, quella di Giddens, fu all’origine teorica della Terza Via di Blair.
Ma a dispetto delle profezie sulla loro obsolescenza, ciò cui si sta
assistendo non è una scomparsa di destra e sinistra, quanto piuttosto una nuova
radicalizzazione, in virtù della quale ciò che sta sparendo, nelle grandi democrazie
occidentali, è piuttosto il ‘centro’. La lenta fuoriuscita dal secolo delle
ideologie e la più grave crisi economica dal dopoguerra hanno generato per
effetto la nascita di nuovi populismi, di destra e di sinistra, che rendono
estremamente problematica la governabilità delle democrazie.
Questa tendenziale polarizzazione dell’elettorato, negli Stati Uniti e in
Europa, è uno dei fenomeni più discussi dalla politologia contemporanea. Negli
Stati Uniti, il disappearing center (A.
I. Abramowitz, The Disappearing Center, Yale 2010) è un fatto confermato da
tutte le rilevazioni statistiche. I valori e le credenze fondamentali degli
americani, secondo l’analisi del Pew Research, “are
more polarized along partisan lines than at any point in the past 25 years”,
come indicato dal grafico.
Conseguenza di tale polarizzazione è che, negli
Stati Uniti, la lotta politica fondamentale, quella per la Presidenza, rischia
di spingere i candidati alla Casa Bianca sempre più lontano dall’elettore
medio. Secondo la fosca previsione di Ackerman “nei prossimi cinquanta o
cent’anni un numero crescente di presidenti governerà da posizioni ideologiche
estreme”.
Questa tendenza alla polarizzazione concerne però come detto tutte le
democrazie occidentali e in particolare i partiti di destra. E’ interessante il
caso di Israele, anche se la situazione è in questo caso molto condizionata dal
contesto internazionale. Chiara è tuttavia anche qui la radicalizzazione del
Likud, alleato con la destra nazionalista di Liebermann, assieme alla quale ha
peraltro ottenuto un risultato assai inferiore alle aspettative nelle elezioni
del 22 gennaio 2013. Alla sua destra, è ora anche insidiato dal partito del
‘Focolare ebraico’ di Naftali Bennett. Ma è il progetto di Kadima, che è stato
negli anni scorsi quasi il prototipo del centrismo, ad essersi dissolto.
Anche in Europa tale linea di tendenza appare del resto chiara. Si può
anzitutto guardare alla parabola politica di Bayrou in Francia, che aveva
incarnato il progetto centrista, ma è praticamente scomparso. Nelle elezioni
legislative del 2012 non è stato neppure rieletto deputato. Nelle elezioni
presidenziali ha ottenuto la metà dei voti del 2007, piazzandosi quinto, dopo
Hollande e Sarkozy e i due candidati estremisti, Marine Le Pen e Mélenchon.
In Gran Bretagna, la radicalizzazione dei Tory (incalzati dalla
formazione euroscettica e xenofoba dell’UK Indipendence Party) sta creando seri
problemi ai liberaldemocratici, già ridimensionati da una non esaltante
esperienza di governo assieme ai conservatori. Nel maggio 2011, la sconfitta alle
elezioni amministrative e l’ancor più bruciante sconfitta nel contestuale
referendum sulla riforma del sistema elettorale (due terzi degli inglesi hanno
votato per mantenere il maggioritario del ‘first past the post’) hanno
praticamente cancellato le speranze sorte con il grande successo elettorale dei
liberali nelle elezioni del 2010. Tutte
le successive tornate di elezioni locali si sono concluse in modo disastroso
per i lib-dem, il cui crollo nelle prossime lezioni del 2015 è annunciato.
Complessivamente, la tendenza alla polarizzazione appare un fenomeni
radicato e di non facile assorbimento nelle democrazie occidentali. I progetti
‘centristi’, volti ad arginarla, risultano deboli e inefficaci. Sul piano
politico, una delle possibili soluzioni è la ricerca di grandi coalizioni, in
cui la necessaria coesistenza dei partiti principali depotenzi gli estremisti,
favorendo una convergenza verso soluzioni di compromesso: è questa la tendenza
prevalente nella democrazia tedesca, ove la Grosse Koalition
è l’ipotesi più probabile dopo le elezioni del settembre 2013. Il governo
‘tecnico’, basato su una maggioranza trasversale, è naturalmente un’altra
opzione, ma appare legato a soluzioni d’emergenza, come in Italia dopo le
dimissioni di Berlusconi, nel novembre 2011.
Per quanto riguarda l’Italia, il cosiddetto bipolarismo ‘muscolare’,
assai stigmatizzato, è certo un fenomeno
legato a specifiche caratteristiche italiane, ma si inquadra in una tendenza
che investe le principali democrazie occidentali. La radicalizzazione della
destra in senso populista potrebbe perciò non essere legata solo a Berlusconi,
e non essere riassorbita dopo di lui.
Tutto ciò induce peraltro a pensare, sul piano puramente analitico, che
il progetto ‘centrista’ di Monti sia destinato ad incontrare difficoltà
considerevoli, al di là del voto del febbraio 2013. Ciò anzitutto a riguardo
dell’ambizione più alta, quella di scomporre i due poli favorendo la
fuoriuscita dei moderati di entrambi. Ma il problema più generale e grave è che
l’ascesa dei populismi rende estremamente difficile governare le democrazie
sulla base di un ragionevole riformismo, sia esso di tipo democratico o
conservatore. Con il rischio di lasciare alla sola tecnocrazia il compito di
opporsi al populismo.
Gianluca Sadun Bordoni
questo post è un contributo utile a chiarire il problema, ma la questione, mi sembra, non è tanto se destra e sinistra siano finite, bensì se debbano finire, e se significhino ancora qualcosa, posto che non c'è più (o non sembra più esserci) uno sfondo ideologico contrappositivo chiaro. Che cosa pensa a questo proposito Sadun Bordoni?
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