Il libro di Diego Marconi recentemente pubblicato da Einaudi, "Il
mestiere di pensare", ha il merito di centrare un problema che è forse
il primo problema - se non il principale - della "metafilosofia" contemporanea
(la riflessione sulla natura della filosofia, i suoi compiti, usi e
applicazioni), ossia: l'eccesso di produzione filosofica, e la necessità/difficoltà di
provvedere criteri di valutazione selettivi.
Di filosofia - si direbbe - non ce n'è mai troppa. Ma questo vale a condizione che il troppo di cui si tratta sia davvero "filosofia" e non qualcosa d'altro, dunque è essenziale avere un'idea di come valutare e selezionare i buoni testi filosofici. Diversamente si genera la situazione della ballata del vecchio marinaio di Coleridge: "acqua dappertutto, ma non una goccia da bere", vale a dire: filosofia dappertutto ma non una goccia di buona filosofia ...
L'idea
di Marconi - in breve - è che la filosofia analitica sia di fatto oggi un tipo di filosofia che risponde a criteri tali da salvaguardare una
produzione filosofica professionalmente garantita. Anzi in un certo
senso per Marconi la filosofia analitica "è" la filosofia che ha fatto
del professionismo filosofico (il mestiere di pensare) un suo requisito distintivo primario.
Poiché il
problema riguarda da vicino chiunque si occupi di filosofia, e sia
specialmente interessato all'uso pubblico e scientifico del lavoro
filosofico, queste e altre tesi del libro meritano di essere esaminate e discusse.