lunedì 26 giugno 2017

Considerazioni sul “Progetto PICO” di Giulio Napoleoni


Franca D’Agostini

Giulio Napoleoni ha presentato sul suo blog (https://giulionapoleoni.blogspot.it) un “progetto di sistema collettivo” ispirato a Pico della Mirandola, e il cui obiettivo è la costruzione di una nuova sintesi sistematica prodotta collettivamente. In tale progetto Napoleoni cita con attenzione fedele alcuni miei scritti e alcune mie tesi, e di ciò lo ringrazio, ma non credo di poter condividere il suo obiettivo. Non credo che ci sia davvero bisogno di un nuovo “sistema” filosofico, perlomeno nel senso da lui inteso. Non credo che un “sistema collettivo” pensato secondo le linee da lui suggerite possa avere una qualche utilità o un qualche interesse.
Nel progetto però si esprimono (mi sembra di capire) alcune esigenze che meritano di essere considerate, e su cui merita riflettere, perché sono ampiamente condivisibili. In particolare, suggerirei: la necessità che tutti abbiamo di orientarci in un campo filosofico sempre più complesso e ipertrofico, in cui ridondanza e irrilevanza a volte sembrano dominanti. Ora io cercherò di sintetizzare brevemente le mie ragioni di dissenso, e di chiarire il mio punto di vista sull’argomento.

1. Con PICO Napoleoni manifesta l’esigenza di “tornare a pensare in grande”, come (a suo avviso) si faceva ancora ai tempi di Hegel, e come non si fa più, e non si può più fare oggi. Ciò detto, la “soluzione” al problema è a portata di mano: poiché non si può più pensare in grande da soli, e poiché tuttavia abbiamo ancora bisogno del grande pensiero, occorrerà farlo insieme. Dunque mettiamoci d’accordo, e costruiamo un sistema collettivo che garantisca una “pace filosofica”.
Già su questa premessa avrei qualche perplessità: non mi sembra che Napoleoni spieghi bene che cosa sia il grande pensiero, e perché ne avremmo bisogno. Ma forse è un limite mio. Di qui in avanti però secondo me incominciano i problemi. Non appena Napoleoni entra in dettaglio, l’ipotesi della pace filosofica sfuma via. Il suo infatti è già un pre-sistema filosofico, pronto per essere messo in discussione e per alimentare la non-pace, e soprattutto: concepito in solitudine, con scarsi confronti. (La solitudine è la vera malattia di chi pensa, oggi: nonostante l’apparente concitazione degli scambi comunicativi, sul web e altrove. Ma non sono sicura che l’uscita da tale sgradevole condizione, e cioè il “pensare insieme” che dovrebbe essere il requisito distintivo di qualsiasi scienza, e in specifico della filosofia, sia ottenibile in base a ciò che il progetto PICO suggerisce.)
La conseguenza prevedibile è che le articolazioni del sistema che Napoleoni propone sono discutibili (a occhio, direi: per requisiti opposti di elusività e vastità), e sono prive di rapporto con altre proposte di “sistema” o altre idee di “sistematicità”, con cui l’autore non si confronta. Dummett, per esempio, riteneva che la filosofia analitica dovesse essere sistematica, ma David Lewis, considerato il più “sistematico” tra i pensatori contemporanei, non era affatto convinto che essere un pensatore di questo tipo fosse di per sé una buona cosa. Le discussioni sulla possibilità, impossibilità e sensatezza di costruire sistemi filosofici oggi sono uno dei grandi percorsi tematici di tutta la meta-filosofia successiva a Kant. Ma molto evidentemente dipende da che cosa si intende per “sistema” e “sistematicità”. Tanto il caso di Lewis come l’uso di “sistematico” in Dummett sembrano mettere in gioco qualcosa di molto diverso da quanto è previsto dal progetto di Napoleoni. E lo stesso dicasi per esempio dei “sistemi” di derivazione neopositivista, o neokantiana (per non parlare delle grandi sintesi extra-filosofiche, come quella bio-sociologica, nota anche come «teoria della complessità», o delle proposte di convergenza trasversale legate alle scienze della computazione).

2. Non ho idea di come la proposta di PICO possa essere recepita, ma indicativamente, anche posto che molti rispondano all’invito di Napoleoni, secondo le linee da lui suggerite, e si arrivasse davvero a produrre un collettaneo, a chi potrebbe essere rivolto un testo di questo tipo?
L’idea di Giulio di scrivere un testo “per tutti”, con sezioni “per alcuni” e note “per gli specialisti” è una buona idea, di solito io cerco (cercavo) di scrivere più o meno libri di questo tipo, con destinatari “plurimi”, e mi sembra che altri si muovano secondo le stesse linee. Ma il volume sistematico ipotizzabile a partire dalle sue indicazioni, anche nelle migliori condizioni, sarebbe difficilmente maneggevole, e così privo della gioia dello stile che i suoi stessi autori non vorrebbero nemmeno incominciare a leggerlo. Sarebbe un altro volume collettaneo come moltissimi altri, e più inutile di altri, perché troppo generale. In ogni caso, dubito che una simile operazione possa produrre o anche solo favorire una qualche nascita o rinascita del “grande pensiero” o di quell’idea di filosofia che Napoleoni ritrova in Hegel ma non nei contemporanei, e di cui avverte la mancanza.
Ribadisco: sono dubbi, perplessità, e non certezze. Servono soltanto a segnalare che la mia diagnosi del presente è un po' diversa da quella prevista da Napoleoni. Forse mi sbaglio, ma ho una mezza idea del fatto che un “sistema” delle conoscenze filosofiche (più precisamente, direi, un tentativo di pervenire a una nuova “filosofia prima”) si stia già producendo, benché in modo per ora piuttosto caotico. Per esempio, grazie agli sforzi attuali dei filosofi più consapevoli, che cercano di limitare il numero delle loro produzioni puramente “politiche” (concepite per crescere il numero di pubblicazioni, o trovare credito presso colleghi, o giornali ed editori), e si pongono invece il problema della reale necessità e urgenza dei loro libri e articoli; oppure si impegnano nel tentativo di riflettere metafilosoficamente sul senso di quello che stanno facendo. Grazie alla promozione di borse, grant, fellowship che promuovono ricerche interdisciplinari o applicative; o anche: grazie alla produzione di volumi collettanei e antologie che tentano di fissare il “canone” delle singole discipline, e dei singoli temi…
Non sono sicura che queste e altre iniziative promuovano qualche nuova “grandezza” nel pensiero, ma certo è che se lo scopo è la pace filosofica, e l’uscita dalla solitudine, Napoleoni dovrebbe tenere conto di tutto ciò.

3. Nel progetto PICO si esprime a mio parere un’esigenza latente, che è quella vera, e piuttosto condivisibile, e che è però (mia diagnosi) piuttosto diversa dall’esigenza manifesta. Napoleoni come tutti noi avverte che il campo della filosofia oggi è difficilmente maneggiabile, e che la “grandezza” che troviamo nei classici (a questo si riferisce l’idea di “grande pensiero”?) sembra molto lontana da ciò che la tavola attuale delle discipline filosofiche ci imbandisce con le sue piccolissime porzioni presentate in piatti di ingombrante vastità.
In una breve nota apparsa l’anno scorso sulla rivista American Philosophical Quarterly, dal titolo “Philosophy Without Philosophers”, Nicholas Rescher ha sostenuto che oggi si assiste al fiorire della filosofia (nel senso di: enorme quantità di pubblicazioni di libri e articoli su ambiti specifici delle discipline filosofiche/ crescita impressionante del numero di riviste e società filosofiche tra gli anni ‘70 del Novecento e oggi) unita all’estinzione dei filosofi ovvero dei «pensatori che hanno una filosofia». Secondo Rescher ciò non avviene perché i pensatori di oggi sono «meno bravi», ma perché «le condizioni e circostanze di lavoro hanno cambiato a tal punto la natura dell’obiettivo da renderne la realizzazione impossibile».
Non sono sicura di essere d’accordo con Rescher, ma certo è che l’iper-produzione a cui siamo sottoposti in filosofia come in altre scienze e discipline ci mette di fronte a nuove valutazioni, nuove esigenze e nuovi problemi. In particolare (di qui la perplessità di Napoleoni) rende estremamente difficile orientarsi, e individuare il buon lavoro filosofico, e trovare «la filosofia» nelle cose prodotte da pensatori che, per definizione: «non hanno [né devono avere] una filosofia». La colpa di ciò non è della specializzazione (perché le migliori ricerche in filosofia di solito non sono poi così “specializzate”, e perché la specializzazione crea ridondanza, ma non fa così gran danno). Ma più semplicemente: della crescita di informazione.

4. Ecco dunque quella che credo sia l’esigenza latente nel progetto di Napoleoni. Quando siamo interessati – anche non professionalmente – alla filosofia, siamo particolarmente attratti da una visione continua della realtà (umana naturale sociale culturale) che ci permette di “trovarci a casa” nelle parole di un pensatore. Questa visione continua è piuttosto rara, oggi. Pochi tra gli studiosi contemporanei di filosofia oggi rivelano di possedere un simile punto di vista, e lavorano in questo modo. Nella maggior parte dei casi ci troviamo di fronte a pensieri frammentati e paratattici, che possono anche essere interessanti ma non hanno quel quid che ci permette di riconoscere lo specifico filosofico (v. Rescher).
Ora questa visione continua è tipica di un pensatore che fa della sua filosofia, del suo pensiero, della sua ricerca, non soltanto la sua professione ma anche la sua vita. Un pensatore che fa del suo pensiero il suo senso e il suo destino, ed è dunque meno interessato al successo personale o alla riuscita professionale (senza peraltro dover disprezzare l’uno e l’altra) che alla sua propria ricerca di verità, negli ambiti di cui si occupa e in generale.
Rescher non lo dice, ma forse quel che non la specializzazione ma l’attuale sistema della valutazione scientifica ostacola è precisamente questo genere di onestà intellettuale, che ovviamente dovrebbe valere per ogni ricercatore, ma per i filosofi dovrebbe valere a maggior ragione. Perché credo di non sbagliare nel suggerire che la qualità di una ricerca filosofica dipende da questo tipo di impegno più di quanto ne dipendano altre ricerche. Dirò di più: la tradizione ci insegna che ciò che avvertiamo come classici, e ciò che soprattutto ci interessa dei grandi del passato, è precisamente lo stile umano con cui guardavano il mondo, unificandolo nel loro sguardo. Sbagliavano a volte, perché uno sguardo singolo non è mai garanzia di verità. Ma ciò che ci faceva abitare nelle loro parole era precisamente la grandezza del loro pensiero e della loro qualità umana.
Ora io non credo che questo tipo umano sia così raro, e non credo che il genio filosofico conseguente sia un «non so che» talentuoso che non si può insegnare ma viene dall’alto, per imperscrutabile disegno. L’ipotesi su cui bisognerebbe confrontarsi allora non è la pace filosofica tout court, il sistema, il grande pensiero, ma la possibilità di formare noi stessi e i nostri allievi (se ne abbiamo) a questo tipo di lavoro. Capisco però che è un altro discorso.   



1 commento:

  1. In attesa di una risposta pensata sulla base di adeguati approfondimenti, voglio comunque subito ringraziare Franca D'Agostini per questo scritto, che considero un contributo e un aiuto a chiarire l'oggetto degli obiettivi ideali contenuti nel Progetto Pico, pur nel dissenso sostanziale che esprime. Ho già la netta sensazione che le riflessioni qui espresse da D'Agostini incideranno profondamente sul progetto stesso, e renderanno vero quel che mi ha scritto Giovanni Piana commentandolo : "Perseveri nel suo progetto anche se dopo le prime reazioni probabilmente esso cambierà forma".

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