giovedì 21 febbraio 2013

(Call for Post 2) Destra e Sinistra pari (non) sono



Ma destra e sinistra – come categorie politiche, s’intende – sono davvero finite? Si potrebbe dare, a questo interrogativo, una risposta dal sapore dialeteico: no, ma in parte, e in un certo senso, sì.In realtà, la contraddizione nei termini non c’è, essendo il “no” e il “sì” relativi a due livelli diversi del discorso.

Primo livello. Destra Vs Sinistra.

La domanda alla base del Call for Post contiene un’opzione implicita che vale la pena di mettere in chiaro. Si parla di “Destra” e “Sinistra” al singolare, tacitamente assumendo come dato acquisito che vi siano (o vi siano state) una destra e una sinistra. Ciò, però, non corrisponde al vero. Di sinistre e di destre ve ne sono più d’una. Difatti, abbiamo perlomeno: a)Destra1, cioè la Destra più comunemente intesa, illiberale, antidemocratica e anticapitalistica. Abbastanza noto il Pantheon di riferimento: autori come De Maistre, De Bonald, e poi Nietzsche, Heidegger (che però sono usati/declinati anche a sinistra), Spengler, Schmitt, Evola, per citare solo i più noti; b) la Destra2, che potremmo definire liberal-comunitaria. Rispetto alla Destra1 c’è una discontinuità: ci si muove all’interno del perimetro della democrazia liberale. Permangono però il primato della comunità sul singolo, il riconoscimento del ruolo pubblico della religione, la ripulsa degli atteggiamenti libertari sul piano etico, la critica della scienza (ad esempio, le polemiche sul darwinismo), la diffidenza verso il mercato, la globalizzazionee la propensione per le economie statalizzate (in questo orizzonte si possono collocare il pensieroteocon americano, la Nouvelle Droite francese, filosofi come Del Noce, politologi come Fisichella, iniziative editoriali come quella de Il Fogliodi Ferrara, movimenti politici come “La Destra” di Storace); c) la Destra3, quella liberal-individualistica, che mette al centro l’individuo, la sua piena libertà e facoltà di agire, con un solo principio limitativo: il neminemlaedere. La Destra3 ha nella difesa del libero mercato uno dei suoi punti centrali: esso altro non è se non l’espressione del libero agire e interagire degli individui. Inoltre, libero mercato e democrazia vengono visti come untutt’uno: simulstabunt, simulcadent. Tra i riferimenti, Nozick, Von Hayek. In Italia, filosofi come Antiseri o movimenti politici come “Futuro e libertà”. Per quanto riguarda la sinistra, anche qui abbiamoabbiamo perlomeno: a) Sinistra1, la Sinistra direttamente collegata al pensiero di Marx-Engels che, partendo da una concezione filosofica della storia come movimento dialettico, giunge a teorizzare il superamento della democrazia liberale, dell’economia di mercato, del capitalismo in vista di un approdo finale, la società comunista; b) Sinistra2, che prende congedo dalla filosofia della storia hegelo-marxista, accetta la democrazia liberale mantenendo però un atteggiamento severamente critico verso libero mercato e capitalismo, e propugnando un generalizzato libertarismo sul piano etico (si pensi a un filosofo-politico come Vattimo o un partito come Sel); c) Sinistra3, la sinistra liberale-riformista, che ha un atteggiamento apertamente  friendly verso il libero mercato, difende il merito, la riduzione del peso dello stato nell’economia e la libera concorrenza (si possono citare economisti come Giavazzi e Alesina, giornalisti come Macaluso e Polito, politici come Enrico Letta).
Ora, è chiaro che parlando di “Destra” e “Sinistra” – essendoormai sostanzialmente fuori corso la Destra1 e la Sinistra1 – oggi si deve parlare di dueDestre e di due Sinistre. La cosa alquanto singolare però, che non viene messa adeguatamente in evidenza, è che esiste un doppio livello di incompatibilità. Cioè la Destra2 è incompatibile con la Sinistra1 e la Sinistra2ma anche, e abbastanza radicalmente, con la Destra3. Analogamente, la Sinistra2 è incompatibile, con le due Destre ma anche, altrettanto radicalmente, con la Sinistra3. Quindi ci ritroviamo con due Destre che sono tra loro incompatibili almeno quanto ognuna di esse lo è con ciascuna delle Sinistre. E viceversa.

Secondo livello. Destra = Sinistra

Questa situazione porta, a livello della percezione dei cittadini, ad un azzeramento delle differenze. La fine dell’epoca ideologica ne è la causa principale. Cadute le ideologie infatti, che avevano un carattere onnipervasivo, colonizzando perfino la dimensione privata del vivere, sono venute meno le possibilità di identificare inequivocabilmente i due poli. In aggiunta, c’è la crescente complessità dei problemi politici, inevitabilmente intrisi di contenuti tecnici (economia, diritto, scienza politica), e dunque non facilmente accessibili. Deideologizzazione e tecnicizzazione della politica portano cosìad una notevole complicazione dello spettro politico, determinando una tassonomia complessa e poco decifrabile. L’esito è scontato: confusione e indiscernibilità; il non sapere più – per riprendere il celebre interrogativo di Gaber, qui fedele interprete del senso comune – cos’è la Destra e cos’è la Sinistra.
Naturalmente, al di là di Destra e Sinistra, i cittadini scelgono. Si dividono. Ma non già, appunto,in relazione al binomio concettuale Destra/Sinistra, cioè sulla base di percorso motivazionale razionalmente articolato.A determinare gli orientamenti, superficiali e spesso estemporanee sollecitazioni provenienti dai media (la tv in testa), usati in modo palesemente strumentale dai politici. Questo è uno dei punti cruciali, giacché il ruolo distorcente dei mezzi di comunicazione(la videocrazia di cui parla Sartori)non può che condurre al populismo, che è fenomeno sempre più consistente nelle democrazie contemporanee. Ricette generiche e contraddittorie, qualunquistici proclami antisistema ne costituiscono il tratto essenziale (si pensi a Berlusconi che continua incredibilmente a veicolare di sé l’immagine di homo novus, lontano dalla “politica di palazzo” o al movimento di Grillo).

Conclusione

Tirando le somme, possiamo in conclusione dire che Destra e Sinistra esistono, e il loro dominio è rappresentato da quello che possiamo indicare come un sottoinsieme non vuoto del Terzo Regno di Frege (o del Mondo3 di Popper): il Pensiero politico.Ontologicamente vi sono (almeno) tre Destre e tre Sinistre.Tuttavia esse non sono percepibili, cioè sonoepistemicamente poco o per nulla accessibili. È un problema abbastanza serio, di cui ci si dovrebbe preoccupare di più. La mancanza di cultura politica dei cittadini, come insegna Dahl, può mettere a repentaglio la vita di una democrazia.

Francesco Gusmano

venerdì 8 febbraio 2013

(Call for Post 2) In realtà sta sparendo il centro



Della necessità di oltrepassare le categorie di destra e sinistra si parla dagli anni Novanta del secolo scorso, e una delle riflessioni più acute in merito, quella di Giddens, fu all’origine teorica della Terza Via di Blair.
Ma a dispetto delle profezie sulla loro obsolescenza, ciò cui si sta assistendo non è una scomparsa di destra e sinistra, quanto piuttosto una nuova radicalizzazione, in virtù della quale ciò che sta sparendo, nelle grandi democrazie occidentali, è piuttosto il ‘centro’. La lenta fuoriuscita dal secolo delle ideologie e la più grave crisi economica dal dopoguerra hanno generato per effetto la nascita di nuovi populismi, di destra e di sinistra, che rendono estremamente problematica la governabilità delle democrazie.
Questa tendenziale polarizzazione dell’elettorato, negli Stati Uniti e in Europa, è uno dei fenomeni più discussi dalla politologia contemporanea. Negli Stati Uniti, il disappearing center (A. I. Abramowitz, The Disappearing Center, Yale 2010) è un fatto confermato da tutte le rilevazioni statistiche. I valori e le credenze fondamentali degli americani, secondo l’analisi del Pew Research, “are more polarized along partisan lines than at any point in the past 25 years”, come indicato dal grafico.



Conseguenza di tale polarizzazione è che, negli Stati Uniti, la lotta politica fondamentale, quella per la Presidenza, rischia di spingere i candidati alla Casa Bianca sempre più lontano dall’elettore medio. Secondo la fosca previsione di Ackerman “nei prossimi cinquanta o cent’anni un numero crescente di presidenti governerà da posizioni ideologiche estreme”.
Questa tendenza alla polarizzazione concerne però come detto tutte le democrazie occidentali e in particolare i partiti di destra. E’ interessante il caso di Israele, anche se la situazione è in questo caso molto condizionata dal contesto internazionale. Chiara è tuttavia anche qui la radicalizzazione del Likud, alleato con la destra nazionalista di Liebermann, assieme alla quale ha peraltro ottenuto un risultato assai inferiore alle aspettative nelle elezioni del 22 gennaio 2013. Alla sua destra, è ora anche insidiato dal partito del ‘Focolare ebraico’ di Naftali Bennett. Ma è il progetto di Kadima, che è stato negli anni scorsi quasi il prototipo del centrismo, ad essersi dissolto.
Anche in Europa tale linea di tendenza appare del resto chiara. Si può anzitutto guardare alla parabola politica di Bayrou in Francia, che aveva incarnato il progetto centrista, ma è praticamente scomparso. Nelle elezioni legislative del 2012 non è stato neppure rieletto deputato. Nelle elezioni presidenziali ha ottenuto la metà dei voti del 2007, piazzandosi quinto, dopo Hollande e Sarkozy e i due candidati estremisti, Marine Le Pen e Mélenchon.
In Gran Bretagna, la radicalizzazione dei Tory (incalzati dalla formazione euroscettica e xenofoba dell’UK Indipendence Party) sta creando seri problemi ai liberaldemocratici, già ridimensionati da una non esaltante esperienza di governo assieme ai conservatori. Nel maggio 2011, la sconfitta alle elezioni amministrative e l’ancor più bruciante sconfitta nel contestuale referendum sulla riforma del sistema elettorale (due terzi degli inglesi hanno votato per mantenere il maggioritario del ‘first past the post’) hanno praticamente cancellato le speranze sorte con il grande successo elettorale dei liberali nelle elezioni del  2010. Tutte le successive tornate di elezioni locali si sono concluse in modo disastroso per i lib-dem, il cui crollo nelle prossime lezioni del 2015 è annunciato.
Complessivamente, la tendenza alla polarizzazione appare un fenomeni radicato e di non facile assorbimento nelle democrazie occidentali. I progetti ‘centristi’, volti ad arginarla, risultano deboli e inefficaci. Sul piano politico, una delle possibili soluzioni è la ricerca di grandi coalizioni, in cui la necessaria coesistenza dei partiti principali depotenzi gli estremisti, favorendo una convergenza verso soluzioni di compromesso: è questa la tendenza prevalente nella democrazia tedesca, ove la Grosse Koalition è l’ipotesi più probabile dopo le elezioni del settembre 2013. Il governo ‘tecnico’, basato su una maggioranza trasversale, è naturalmente un’altra opzione, ma appare legato a soluzioni d’emergenza, come in Italia dopo le dimissioni di Berlusconi, nel novembre 2011.
Per quanto riguarda l’Italia, il cosiddetto bipolarismo ‘muscolare’, assai stigmatizzato,  è certo un fenomeno legato a specifiche caratteristiche italiane, ma si inquadra in una tendenza che investe le principali democrazie occidentali. La radicalizzazione della destra in senso populista potrebbe perciò non essere legata solo a Berlusconi, e non essere riassorbita dopo di lui.
Tutto ciò induce peraltro a pensare, sul piano puramente analitico, che il progetto ‘centrista’ di Monti sia destinato ad incontrare difficoltà considerevoli, al di là del voto del febbraio 2013. Ciò anzitutto a riguardo dell’ambizione più alta, quella di scomporre i due poli favorendo la fuoriuscita dei moderati di entrambi. Ma il problema più generale e grave è che l’ascesa dei populismi rende estremamente difficile governare le democrazie sulla base di un ragionevole riformismo, sia esso di tipo democratico o conservatore. Con il rischio di lasciare alla sola tecnocrazia il compito di opporsi al populismo. 

Gianluca Sadun Bordoni

(Call for Post 1) La funzione pubblica della filosofia analitica



Si ritiene spesso che la filosofia analitica non abbia nessuna funzione pubblica. Vorremmo mostrare che così non è. Certo non si tratta di una filosofia “epocale”, tale cioè da fornire l’interpretazione globale di un’epoca storica o di tutta la vicenda umana, come possono essere stati il marxismo o l’esistenzialismo; ciò però non significa affatto che la filosofia analitica non possa avere un’importante funzione pubblica, in un senso a un tempo più limitato e più preciso del termine. Essa può infatti aiutarci a capire meglio problemi specifici rilevanti per decisioni di carattere pubblico. Qui non ci occuperemo di casi di filosofia politica, ad esempio che cosa debba intendersi per giustizia, eguaglianza o libertà. Al contrario, cercheremo di abbozzare tre casi ascrivibili all’alveo della filosofia teoretica e del linguaggio, per mostrare come una loro comprensione alla luce di un paradigma analitico possa avere importanti ripercussioni pubbliche.
Primo caso: identità personale - vaghezza. Che cos’è una persona? Questa domanda solleva grandi interrogativi teorici che hanno una estrema rilevanza per questioni pubbliche come l’aborto e l’eutanasia. Ma quando possiamo dire che una persona inizia ad esistere? La difficoltà di rispondere a questa domanda è dovuta, almeno in parte, al fatto che la nozione di persona è vaga. Infatti, dopo il concepimento e prima della nascita c'è un periodo in cui non è chiaro se, il pre-embrione, l'embrione o il feto siano da considerarsi una persona. Per molti è una questione intrinsecamente indeterminata se in questo periodo il feto sia una persona o no. Per questioni pratiche – ovvero per avere una normativa – si è deciso a quale settimana dopo il concepimento il feto debba considerarsi persona. È però opinione diffusa che vi sia un certo grado di arbitrarietà in questa decisione. L'arbitrarietà deriva dal fatto che tutto quello che sappiamo sullo stato fisico dell'embrione (età, condizioni fisiologiche ecc...) non sembra essere sufficiente a determinare una risposta alla domanda su quando inizi ad esistere una persona durante questo periodo. Alla domanda se, ad esempio, al 13° giorno dal concepimento sia presente una persona, si possono dare risposte evasive come “non direi che la cellula sia una persona, né che non lo sia”, o “si possono dire entrambe le cose”, o “è una via di mezzo”. In altre parole, possiamo dire che in questa fase la blastocisti sia un caso borderline di persona. In cosa consiste la natura di questi casi borderline? Sono dovuti al significato della parola “persona” (vaghezza semantica, riparabile con una stipulazione linguistica), sono un caso di ignoranza di fatti determinati che non possiamo sapere (vaghezza epistemica, problematica per noi esseri umani non per un eventuale occhio di dio, ma bisognerebbe credere che esista) o sono i fatti stessi ad essere indeterminati (vaghezza ontologica, problematica per chiunque e non rimediabile)? Elaborare una teoria sulla natura della vaghezza ha quindi delle conseguenze sulla comprensione di questioni, come quella sulla persona, che hanno un ruolo cruciale nel dibattito pubblico.
Secondo caso: il disaccordo. Siamo spesso in disaccordo con altri su molte questioni e in tanti casi non è chiaro chi ha ragione e chi ha torto. Supponiamo di dover pagare il conto di una cena. Dopo un breve calcolo mentale, affermiamo che dobbiamo dare 25 euro a testa, ma un nostro amico dice che ne dobbiamo dare 27. Siamo in disaccordo, pur avendo letto lo stesso scontrino ed avendo le stesse abilità nel compiere semplici operazioni aritmetiche. L’epistemologia contemporanea di matrice analitica si chiede: il fatto stesso di essere in disaccordo con qualcuno che ha accesso alle nostre stesse informazioni deve portarci a rivedere le nostre opinioni? Cos’è razionale credere in questi casi? Potrebbe sembrare razionale rivedere le nostre credenze. Dopo tutto, dato che l’amico ne sa quanto noi, non si vede perché lui debba avere meno probabilità di avere ragione. Persistere nel disaccordo sarebbe segno di cocciutaggine, non di razionalità; faremmo dunque meglio a trovare una soluzione comune, come ad esempio sospendere il giudizio sulla questione. Tuttavia, la sospensione del giudizio è una scelta perniciosa quando applicata a casi di disaccordo controversi e che ci stanno più a cuore, come ad esempio un disaccordo sulla liceità morale dell’aborto. Se sospendere il giudizio fosse la sola opzione razionale, ci troveremmo di fronte a un esito scettico che lascerebbe poco spazio alla possibilità di compiere progressi nella comprensione del problema in esame. Disaccordi come quello sulla liceità morale dell’aborto sono al centro di importanti dibattiti politici e culturali. Stabilire cos’è razionale credere in casi controversi di disaccordo può quindi giovare alle azioni politiche e sociali da intraprendere nei confronti di temi così delicati.
Terzo caso: la testimonianza. Gran parte della nostra conoscenza dipende dalla testimonianza. Sappiamo che Napoleone fu sconfitto a Waterloo nel 1815 perché l’abbiamo letto sui libri di storia; sappiamo che il premier ha detto che l’Europa deve impegnarsi di più per la crescita perché l’abbiamo letto sui giornali o sentito alla televisione. Un’idea intuitiva, però, è che sappiamo tutto questo solo nella misura in cui si può dimostrare che le nostre fonti sono affidabili. Tuttavia, mentre in alcuni casi è possibile farlo, usando metodi che a loro volta non presuppongono la testimonianza, in altri è del tutto impossibile. Non possiamo risalire indietro nel tempo e verificare direttamente l’accuratezza delle testimonianze storiche su Napoleone; e neppure nel caso del discorso del premier possiamo viaggiare nel tempo e verificare direttamente quello che ha detto. Al più possiamo solo confrontare varie testimonianze tra loro, ma non possiamo uscire dal circolo della testimonianza. E se, per caso, le varie fonti fossero state orchestrate ad arte, come potremmo, sulla base solo delle testimonianze, scoprire l’inganno? Di fronte a un tale scenario scettico, dobbiamo forse concludere che dopo tutto non sappiamo che Napoleone fu sconfitto a Waterloo o che il premier ha invitato l’Europa a fare di più per la crescita? Se questa conclusione fosse inevitabile il risultato sarebbe catastrofico, perché a ben guardare una messe enorme di conoscenze sarebbero solo presunte tali, proprio perché basate, in ultima istanza, unicamente su fonti testimoniali. Se vogliamo salvaguardare l’idea che dopo tutto abbiamo (almeno parte del) le conoscenze che riteniamo di avere, non possiamo fare altro che negare l’assunto di partenza; ovvero che per essere affidabile la testimonianza debba essere indipendentemente verificabile. Oggigiorno un intenso dibattito all’interno dell’epistemologia di tradizione analitica si confronta sul se e come dar senso all’idea che la testimonianza, al pari della percezione, possa essere una fonte di conoscenza basilare, mettendo in campo sofisticati strumenti di analisi. Com’è però del tutto evidente, tale questione è d’importanza cruciale per capire la nostra reale situazione epistemica, che, oggi più che mai, in un’era d’informazione di massa, può determinare importanti scelte politiche d’impatto enorme per la vita dei cittadini.
In questa breve rassegna abbiamo mostrato la rilevanza pubblica di alcuni temi oggi molto discussi nell’ambito della filosofia analitica. Non abbiamo fatto vedere a fondo l’impatto che le diverse risposte a questi quesiti possono avere su scelte di carattere pubblico. I limiti di spazio di questo intervento non lo consentono. In ogni caso, il punto fondamentale è che le domande su cui s’interrogano i filosofi analitici, prim’ancora che le varie risposte che ad esse danno, non sono questioni di lana caprina o sul sesso degli angeli, ma quesiti centrali per impostare correttamente discorsi di enorme rilevanza pubblica.
Annalisa Coliva
Sebastiano Moruzzi
Michele Palmira