Franca
D’Agostini
Giulio Napoleoni ha presentato sul suo blog (https://giulionapoleoni.blogspot.it) un “progetto di sistema
collettivo” ispirato a Pico della Mirandola, e il cui obiettivo è la
costruzione di una nuova sintesi sistematica prodotta collettivamente. In tale
progetto Napoleoni cita con attenzione fedele alcuni miei scritti e alcune mie tesi, e di ciò lo ringrazio, ma non
credo di poter condividere il suo obiettivo. Non credo che ci
sia davvero bisogno di un nuovo “sistema” filosofico, perlomeno nel senso da
lui inteso. Non credo che un “sistema
collettivo” pensato secondo le linee da lui suggerite possa avere una qualche
utilità o un qualche interesse.
Nel progetto però si esprimono (mi sembra di capire) alcune
esigenze che meritano di essere considerate, e su cui merita riflettere, perché
sono ampiamente condivisibili. In particolare, suggerirei: la necessità che
tutti abbiamo di orientarci in un campo filosofico sempre più complesso e
ipertrofico, in cui ridondanza e irrilevanza a volte sembrano dominanti. Ora io
cercherò di sintetizzare brevemente le mie ragioni di dissenso, e di chiarire
il mio punto di vista sull’argomento.
1. Con PICO Napoleoni manifesta l’esigenza di “tornare a
pensare in grande”, come (a suo avviso) si faceva ancora ai tempi di Hegel, e
come non si fa più, e non si può più fare oggi. Ciò detto, la “soluzione” al
problema è a portata di mano: poiché non si può più pensare in grande da soli,
e poiché tuttavia abbiamo ancora bisogno del grande pensiero, occorrerà farlo
insieme. Dunque mettiamoci d’accordo, e costruiamo un sistema collettivo che
garantisca una “pace filosofica”.
Già su questa premessa avrei qualche perplessità: non mi
sembra che Napoleoni spieghi bene che cosa sia il grande pensiero, e perché ne
avremmo bisogno. Ma forse è un limite mio. Di qui in avanti però secondo me incominciano
i problemi. Non appena Napoleoni entra in dettaglio, l’ipotesi della pace
filosofica sfuma via. Il suo infatti è già un pre-sistema filosofico, pronto
per essere messo in discussione e per alimentare la non-pace, e soprattutto: concepito in solitudine, con scarsi
confronti. (La solitudine è la vera malattia di chi pensa, oggi: nonostante
l’apparente concitazione degli scambi comunicativi, sul web e altrove. Ma non
sono sicura che l’uscita da tale sgradevole condizione, e cioè il “pensare
insieme” che dovrebbe essere il requisito distintivo di qualsiasi scienza, e in
specifico della filosofia, sia ottenibile in base a ciò che il progetto PICO suggerisce.)
La conseguenza prevedibile è che le articolazioni del
sistema che Napoleoni propone sono discutibili (a occhio, direi: per requisiti
opposti di elusività e vastità), e sono prive di rapporto con altre proposte di
“sistema” o altre idee di “sistematicità”, con cui l’autore non si confronta.
Dummett, per esempio, riteneva che la filosofia analitica dovesse essere
sistematica, ma David Lewis, considerato il più “sistematico” tra i pensatori
contemporanei, non era affatto convinto che essere un pensatore di questo tipo
fosse di per sé una buona cosa. Le discussioni sulla possibilità, impossibilità
e sensatezza di costruire sistemi filosofici oggi sono uno dei grandi percorsi
tematici di tutta la meta-filosofia successiva a Kant. Ma molto evidentemente
dipende da che cosa si intende per “sistema” e “sistematicità”. Tanto il caso
di Lewis come l’uso di “sistematico” in Dummett sembrano mettere in gioco
qualcosa di molto diverso da quanto è previsto dal progetto di Napoleoni. E lo stesso
dicasi per esempio dei “sistemi” di derivazione neopositivista, o neokantiana
(per non parlare delle grandi sintesi extra-filosofiche, come quella
bio-sociologica, nota anche come «teoria della complessità», o delle proposte
di convergenza trasversale legate alle scienze della computazione).
2. Non ho idea di come la proposta di PICO possa essere
recepita, ma indicativamente, anche posto che molti rispondano all’invito di
Napoleoni, secondo le linee da lui suggerite, e si arrivasse davvero a produrre
un collettaneo, a chi potrebbe essere rivolto un testo di questo tipo?
L’idea di Giulio di scrivere un testo “per tutti”, con
sezioni “per alcuni” e note “per gli specialisti” è una buona idea, di solito
io cerco (cercavo) di scrivere più o meno libri di questo tipo, con destinatari
“plurimi”, e mi sembra che altri si muovano secondo le stesse linee. Ma il
volume sistematico ipotizzabile a partire dalle sue indicazioni, anche
nelle migliori condizioni, sarebbe difficilmente maneggevole, e così privo
della gioia dello stile che i suoi stessi autori non vorrebbero nemmeno
incominciare a leggerlo. Sarebbe un altro volume collettaneo come moltissimi
altri, e più inutile di altri, perché troppo generale. In ogni caso, dubito che
una simile operazione possa produrre o anche solo favorire una qualche nascita
o rinascita del “grande pensiero” o di quell’idea di filosofia che Napoleoni
ritrova in Hegel ma non nei contemporanei, e di cui avverte la mancanza.
Ribadisco: sono dubbi, perplessità, e non certezze. Servono soltanto a segnalare che la mia diagnosi del presente è un po' diversa da quella prevista da Napoleoni. Forse mi sbaglio, ma ho una mezza idea del fatto che un “sistema”
delle conoscenze filosofiche (più precisamente, direi, un tentativo di
pervenire a una nuova “filosofia prima”) si stia già producendo, benché in modo
per ora piuttosto caotico. Per esempio, grazie agli sforzi attuali dei filosofi
più consapevoli, che cercano di limitare il numero delle loro produzioni
puramente “politiche” (concepite per crescere il numero di pubblicazioni, o trovare credito presso colleghi, o giornali ed editori), e si pongono invece il problema della reale necessità e
urgenza dei loro libri e articoli; oppure si impegnano nel tentativo di
riflettere metafilosoficamente sul senso di quello che stanno facendo. Grazie
alla promozione di borse, grant, fellowship che promuovono ricerche
interdisciplinari o applicative; o anche: grazie alla produzione di volumi
collettanei e antologie che tentano di fissare il “canone” delle singole
discipline, e dei singoli temi…
Non sono sicura che queste e altre iniziative promuovano
qualche nuova “grandezza” nel pensiero, ma certo è che se lo scopo è la pace
filosofica, e l’uscita dalla solitudine, Napoleoni dovrebbe tenere conto di
tutto ciò.
3. Nel progetto PICO si esprime a mio parere un’esigenza
latente, che è quella vera, e piuttosto condivisibile, e che è però (mia
diagnosi) piuttosto diversa dall’esigenza manifesta. Napoleoni come tutti noi
avverte che il campo della filosofia oggi è difficilmente maneggiabile, e che
la “grandezza” che troviamo nei classici (a questo si riferisce l’idea di
“grande pensiero”?) sembra molto lontana da ciò che la tavola attuale delle
discipline filosofiche ci imbandisce con le sue piccolissime porzioni
presentate in piatti di ingombrante vastità.
In una breve nota apparsa l’anno scorso sulla rivista American Philosophical Quarterly, dal
titolo “Philosophy Without Philosophers”, Nicholas Rescher ha sostenuto che oggi
si assiste al fiorire della filosofia (nel senso di: enorme quantità di
pubblicazioni di libri e articoli su ambiti specifici delle discipline
filosofiche/ crescita impressionante del numero di riviste e società
filosofiche tra gli anni ‘70 del Novecento e oggi) unita all’estinzione dei
filosofi ovvero dei «pensatori che hanno una filosofia». Secondo Rescher ciò
non avviene perché i pensatori di oggi sono «meno bravi», ma perché «le
condizioni e circostanze di lavoro hanno cambiato a tal punto la natura dell’obiettivo
da renderne la realizzazione impossibile».
Non sono sicura di essere d’accordo con Rescher, ma certo è
che l’iper-produzione a cui siamo sottoposti in filosofia come in altre scienze
e discipline ci mette di fronte a nuove valutazioni, nuove esigenze e nuovi
problemi. In particolare (di qui la perplessità di Napoleoni) rende
estremamente difficile orientarsi, e individuare il buon lavoro filosofico, e
trovare «la filosofia» nelle cose prodotte da pensatori che, per definizione:
«non hanno [né devono avere] una filosofia». La colpa di ciò non è della
specializzazione (perché le migliori ricerche in filosofia di solito non sono poi così
“specializzate”, e perché la specializzazione crea ridondanza, ma non fa così
gran danno). Ma più semplicemente: della crescita di informazione.
4. Ecco dunque quella che credo sia l’esigenza latente nel progetto
di Napoleoni. Quando siamo interessati – anche non professionalmente – alla
filosofia, siamo particolarmente attratti da una visione continua della realtà (umana naturale sociale culturale) che ci
permette di “trovarci a casa” nelle parole di un pensatore. Questa visione
continua è piuttosto rara, oggi. Pochi tra gli studiosi contemporanei di
filosofia oggi rivelano di possedere un simile punto di vista, e lavorano in questo
modo. Nella maggior parte dei casi ci troviamo di fronte a pensieri frammentati
e paratattici, che possono anche essere interessanti ma non hanno quel quid che ci permette di riconoscere lo
specifico filosofico (v. Rescher).
Ora questa visione continua è tipica di un pensatore che fa
della sua filosofia, del suo pensiero, della sua ricerca, non soltanto la sua
professione ma anche la sua vita. Un pensatore che fa del suo pensiero il suo
senso e il suo destino, ed è dunque meno interessato al successo personale o
alla riuscita professionale (senza peraltro dover disprezzare l’uno e l’altra)
che alla sua propria ricerca di verità, negli ambiti di cui si occupa e in
generale.
Rescher non lo dice, ma forse quel che non la
specializzazione ma l’attuale sistema della valutazione scientifica ostacola è
precisamente questo genere di onestà intellettuale, che ovviamente dovrebbe
valere per ogni ricercatore, ma per i filosofi dovrebbe valere a maggior
ragione. Perché credo di non sbagliare nel suggerire che la qualità di una
ricerca filosofica dipende da questo tipo di impegno più di quanto ne dipendano
altre ricerche. Dirò di più: la tradizione ci insegna che ciò che avvertiamo
come classici, e ciò che soprattutto ci interessa dei grandi del passato, è
precisamente lo stile umano con cui guardavano il mondo, unificandolo nel loro
sguardo. Sbagliavano a volte, perché uno sguardo singolo non è mai garanzia di
verità. Ma ciò che ci faceva abitare nelle loro parole era precisamente la
grandezza del loro pensiero e della loro qualità umana.
Ora io non credo che questo tipo umano sia così raro, e non
credo che il genio filosofico conseguente sia un «non so che» talentuoso che
non si può insegnare ma viene dall’alto, per imperscrutabile disegno. L’ipotesi
su cui bisognerebbe confrontarsi allora non è la pace filosofica tout court, il
sistema, il grande pensiero, ma la
possibilità di formare noi stessi e i nostri allievi (se ne abbiamo) a questo tipo di lavoro. Capisco però
che è un altro discorso.
In attesa di una risposta pensata sulla base di adeguati approfondimenti, voglio comunque subito ringraziare Franca D'Agostini per questo scritto, che considero un contributo e un aiuto a chiarire l'oggetto degli obiettivi ideali contenuti nel Progetto Pico, pur nel dissenso sostanziale che esprime. Ho già la netta sensazione che le riflessioni qui espresse da D'Agostini incideranno profondamente sul progetto stesso, e renderanno vero quel che mi ha scritto Giovanni Piana commentandolo : "Perseveri nel suo progetto anche se dopo le prime reazioni probabilmente esso cambierà forma".
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