Intervista
a
Nicla
Vassallo
Di Riccardo
Malatto[1]
Genova,
26/06/2017
Nicla
Vassallo, filosofa molto nota in Italia e altrove, si è specializzata al King’s
College di Londra ed è attualmente professore ordinario di Filosofia teoretica
presso l’Università di Genova e associata dell’ISEM–CNR. La sua figura di intellettuale
si distingue per l'eleganza intellettuale, il rigore e insieme la chiara consapevolezza della propria
funzione pubblica. Il suo pensiero e le sue ricerche scientifiche hanno portato
novità rilevanti nei settori dell’epistemologia, della filosofia della
conoscenza, della metafisica, dei gender studies.
Autrice,
coautrice o curatrice di ben oltre centocinquanta pubblicazioni, della sua
importante produzione scientifica, in italiano e in inglese, ci limitiamo a
ricordare i volumi più recenti: Filosofia delle donne (Laterza 2007), Teoria
della conoscenza (Laterza 2008), Knowledge, Language, and
Interpretation (Ontos Verlag 2008), Donna m’apparve (Codice
Edizioni 2009), Piccolo trattato di epistemologia (Codice Edizioni
2010), Terza cultura (il Saggiatore 2011), Per sentito dire
(Feltrinelli 2011), Conversazioni (Mimesis 2012), Reason and
Rationality (Ontos Verlag 2012), Frege
on Thinking and Its Epistemic Significance (Lexington–Rowman &
Littlefield 2015), Il matrimonio
omosessuale è contro natura: Falso! (Laterza 2015), Breve viaggio tra scienza e tecnologia con etica e donne (Orthotes
2015), Meta-Philosophical Reflection on
Feminist Philosophies of Science (Springer, New York 2016).
Al
presente lavora su diversi aspetti dei rapporti affettivi e amorosi in
relazione alle istituzioni, specie eteronormative, e sulla sovrabbondanza, nella
nostra società, di semplificazioni stereotipiche riguardo il sex&gender
in rapporto alla complessità dell’identità metafisica e dell’identità
personale. Inoltre, un tema tuttora costante nella ricerca di Nicla Vassallo, è
l'indagine delle questioni legate al problema dell’ignoranza, in che modo si
manifesta, quali sono le cause e i modi per porvi rimedio. Ha vinto il premio
di filosofia “Viaggio a Siracusa” nel 2011. Dal Fai è stata giudicata la
“filosofa italiana dalla brillante carriera internazionale”. Fa parte di
consigli direttivi e comitati scientifici presso autorevoli riviste
specialistiche, ed è membro attivo di numerose associazioni e fondazioni.
Scrive di cultura e filosofia su diverse testate giornalistiche. Ha
pubblicato due raccolte di poesie, Orlando
in ordine sparso (Mimesis 2013) e Metafisiche
insofferenti per donzelle insolenti (Mimesis 2017).
Quella
che segue è un’intervista realizzata da uno studente della facoltà di Filosofia
di Genova, incentrata sul rapporto tra filosofia e vita: un rapporto in cui
Nicla Vassallo crede profondamente, al punto da pensare alla propria stessa
vita come un impegno irriducibile alla difesa della verità e della conoscenza,
secondo l’insegnamento degli antichi e dei più grandi tra i filosofi.
Al
giovane che fa filosofa viene a volte rimproverato dai suoi colleghi iscritti a
discipline scientifiche, di rimanere per sempre uno studioso di filosofia, e di
non diventare mai un “vero professionista”, ossia un ingegnere, un medico, un
avvocato, un fisico, un matematico ecc.
Dipende sempre con chi studia e dove
si studia. Mentre in alcuni tempi bui abbiamo avuto l’onore di un Cartesio
(filosofo e matematico; al contempo, evoluto nel suo dialogare razionalmente
con donne quali la
principessa Elisabetta del Palatinato e Cristina di Svezia), oggi, purtroppo,
eccezioni a parte, gli scienziati puntano all’iperspecialismo nel proprio
settore, e alla fama, e per la filosofia nutrono scarso interesse. E pensare
che molti progetti che fisici, ingegneri e professionisti di altro genere hanno
portato a termine sono nati, in origine, da idee di filosofi che con loro hanno
collaborato. Oppure gli stessi “veri professionisti”, come lei li ha chiamati,
hanno indossato un doppio vestito che siamo soliti attribuire a categorie distinte.
Albert Einstein, Werner K. Heisenberg forse prima che fisici sono stato
filosofi, in molti casi il confine non è tracciabile in modo definito. Se la
tendenza dovesse continuare in questa direzione di eccessiva settorialità si
avranno sempre meno Oliver Sacks, per citare un altro personaggio che ha speso
la sua vita nel dialogo interdisciplinare con la filosofia. Purtroppo anche sul
fronte filosofico le cose non stanno procedendo meglio. Troppi scrivono, per
esempio, di filosofia della medicina o filosofia della fisica, senza aver mai
studiato con la serietà necessaria le scienze in questione. A rimetterci non
può che essere la conoscenza.
Per fortuna ci sono ancora molte persone che perseverano nel lavoro di qualità,
nella convinzione che prima di parlare è bene conoscere e che, rimanendo
ancorati alla propria nicchia privilegiata, gran parte di ciò che sappiamo sul
mondo ci sfuggirà. Speriamo abbiano il giusto riconoscimento.
A differenza di altri professori, lei si pone in un dialogo
costante con suoi studenti, alla Socrate. Perché? Per “mostrarci” cosa
significhi fare filosofia indicandoci la strada per diventare filosofi?
Forse perché non sono
presuntuosa. Come potrebbe darsi un filosofo vanaglorioso? Non si tratterebbe
di un filosofo. E pertanto qui mi ritrovo amica di Wittgenstein quando sostiene
che in filosofia si traducono i medesimi antichi pensieri in diversi linguaggi.
Il non aspirare a conoscere conduce alla disumanità: lo afferma con nettezza
Aristotele sulle forti spalle di Platone, e ancor prima Socrate e con il suo
“conosci te stesso”, esortazione religiosa e di sapienza oracolare che troviamo
scolpita sul tempio Delfi. Privi di conoscenza e di conoscenza della nostra
identità, ci imbeviamo di quella brutalità che pure Dante, ricordando Ulisse,
aborriva. Per questo sto pensando a un volume contro l’ignoranza. Ignoranza,
tuttavia, non sempre da condannare, quando è origine della consapevolezza di se
stessa e si anima del desiderio di venire superata. Confido fermamente nel
progresso conoscitivo mio e dei miei studenti. Senza menti che collaborino
insieme criticamente e si trasmettano conoscenza per testimonianza ci si
ritroverebbe ancora all’età della pietra. Per questo è indispensabile un progresso
conoscitivo che riguarda se stessi, l’altro-da-sé e il mondo che ci circonda.
Il pensarsi onniscienti o onnipotenti alla Icaro crea invece seri problemi.
La conoscenza è una questione
elitaria solo in quanto arricchisce la nostra identità personale, la nostra
singolarità, quotidianamente, secondo per secondo: pochi ne prendono atto.
Mentre la cultura di massa – “popular culture”, ossia una cultura
intrecciata al potere – si collega più alla stereotipizzazione, non alla
conoscenza, non alla ricerca della verità. Non voglio assolutamante educare un'élite epistemica, se con questo
temine ci trasciniamo dietro connotazioni negative quali settaria e separata.
Lungi da me! Il mio desiderio è diametricalmente opposto. In quanto teorico
della conoscenza vorrei diffondere a più larga scala il mio contributo.
Purtroppo, però, poche persone scelgono la prima via e troppe si fregiano di
sventolare il vessillo della seconda. Sbattiamo ancora il muso sul bivio di
Parmenide. Non si può certo dimenticare l’identificazione cristiana della verità con Dio, ben
dichiarata
nell’affermazione «Io sono la via, la verità, la vita», con tutto il suo contenuto
platonico, per cui la verità è proprietà
dell’essere o della realtà, Cosicché si parla del vero essere e della vera realtà,
come nel linguaggio
comune si parla del proprio vero amico. Aristotele limita l’applicazione
di “vero” e “falso” al discorso apofantico, ovvero alle proposizioni
affermative o negative, cosicché “vero” e “falso” non si possono predicare dei
nomi o degli aggettivi, né dei discorsi non apofantici come le preghiere, le
domande, i comandi, eccetera. In altre parole, una proposizione è vera se
corrisponde a fatti o a
stati di cose. Aristotele, invece, esprime con forza questa
teoria nel seguente modo (La metafisica,
IV, 7, 1011b):
«Dire di ciò che esiste che non esiste, o di ciò che non esiste che esiste, è
falso, mentre dire di ciò che esiste che esiste, e di ciò che non esiste che
non esiste, è vero».
Nello scorso secolo egli trova un celebre difensore nel Wittgenstein del Tractatus (4.01): «La proposizione è
un’immagine della realtà».
La post-verità? Una bufala. La verità relativa? Altra bufala. Bufale di cui la
cultura di massa e il potere abusano in ottica opportunistica.
“In tempi in cui la menzogna domina, dire la verità è un atto
rivoluzionario”. Questa frase di George Orwell spicca sulla sua pagina web.
Perché?
Chi dedica l’intera
propria vita ad andare di bolina, ovvero all’insegnamento serio, socraticamente
inteso e con la fatica che questo
impegno comporta, seguendo ogni studente singolarmente e lavorando coi giovani
migliori, dedicandomi inoltre alla ricerca filosofica più avanzata, scrivendo,
studiando… cosa vuole che le dica? Una cosa è garantita: la ricerca della
verità oggi è senz’altro un atto rivoluzionario.
Per difendere la verità si ucciderebbe alla pari di Socrate?
Sì, perché no? In verità nel nostro paese il problema del suicidio è ancora aperto. Non possediamo
alcuna legge sulla nostra scelta di come e quando morire. Ecco una domanda
interessante: esiste un diritto al suicidio? se sì come lo decliniamo in
termini di giustizia? Questo non è il momento per rispondere, la risposta
potrebbe richidere un'enorme lavoro, è così che si muove la filosofia. Ma tralasciando questo punto, in realtà ciò
che in fondo lei mi sta domandando è: dove finisce la natura e dove inizia la
cultura, o meglio dove l’etica inizia a svolgere il proprio ruolo? Sotto il
profilo normativo puramente filosofico, il punto alla fine consiste in questo:
l’etica si interessa del bene e del male; ma se noi animali umani non possiamo
conoscere o non conosciamo il bene e il male, ovvero se non troviamo una
risposta allo scetticismo che riguarda l’etica, alla fin fine non possediamo
mezzi per tracciare differenze tra brutalità umane e non umane. E poi sarà vero
che uccidere non fa parte della natura umana? Provi a dare un’occhiata alla
cartina del mondo e si chieda in quanti paesi vengono rispettati diritti umani
e civili, in quanti a prevalere è la brutalità.
Ci sono filosofi di cui a lezione fa solo cenni, per esempio
filosofi del calibro di Hegel.
Perché lo comprendo poco. Forse un aspetto di Hegel, non troppo deprecabile consiste nella sua idea di matrimonio quale atto etico in cui ci si trasforma in unità spirituale, in «amore cosciente». Ovvero, il matrimonio, a differenza di quanto comunemente si crede, non è un atto di natura contrattuale, bensì meramente consensuale, finalizzato al costituirsi in quanto persona. Mi spiace dover riconoscere che pure Hegel è incapace di spingersi oltre, finendo invece per attribuire il ruolo di capo famiglia al maschio-uomo da cui la femmina-donna dipenderebbe sotto il profilo giuridico. Lo stereotipo è mutato? Con occhio critico-filosofico, proviamo a guardarci attorno…
Filosofia antica o storia della filosofia?
La
“poca” filosofica antica da me macinata proviene dalla una certa felice
tradizione britannica e da alcune discussioni con l’amica Eva Cantarella nei
nostri “paradisi terrestri”. La storia della filosofia? Quì molti corsi, per antichi retaggi, pur non
denominandosi “storia di…” , ancora oggi vengono condotti su manualetti a base
storicista. Così lo studente non è indotto a pensare con la propria testa.
Eppure ha coeditato con Franca
D’Agostini il libro che porta il titolo di “Storia della filosofia analitica”
Esperienza
eccezionale e controcorrente, dato che la filosofia analitica pareva fino a
quel punto priva di una storia, di un qualche concatenamento. L’essere
controcorrente è sempre una conquista. E lavorare intensamente con Franca mi ha
indotto a ritrovare parti di me, che avevo stupidamente tralasciato.
C'è
chi la incrimina volentieri di aver mutato più volte pensiero. Forse per una
certa sua “sistematica” ribellione?
Ho mutato mano mano campi di interesse. Ho cominciato occupandomi
di Boole e Frege. Oggi mi interesso,
soprattutto ma non solo, di sex&gender
studies. Spiegarle questo percorso pulito, privo di svolte drastiche, ci
porterebbe via tempo; eppure, è sufficiente leggermi per comprenderlo. Nessuna
svolta radicale, per cui respingo chi parla della prima Vassallo, della seconda
Vassallo, della terza Vassallo e così via: semplicemente non mi ha mai letto.
Al contempo respingo anche l’idea di fissità: fare ricerca su uno stesso tema
per l’intera esistenza terminerebbe con l’annoiarmi.
Cosa
può dire della sua permanenza al King’s College di Londra?
Essere entrata in un M-Phil/Ph.D, dove allora si era
accettati in dieci al mondo, oltre a un successo, è stata una fatica. Si
imparava a essere filosofi. Ci si svegliava presto. Ci si recava a dormire
tardi. Avevi un tutor privato e un supervisor, che criticavano i tuoi paper,
anche durante il week-end si leggeva e si scriveva. E il sex&gender di
apparenza non contava. Mai stata trattata come uno studente. Certe sere
capitava che alcuni professori si riunissero a cena per leggere e discutere
Dante in italiano e ti invitassero a partecipare. Il venerdì, invece, era la serata
del seminarione, ove i temi mutavano spesso. Occorreva preparazione, e così
leggevamo gli ultimi paper, dalla filosofia della matematica all’identità
personale e via dicendo, e li discutevano con tutti professori e i lecturer. Un
simposio. Dopo di che il King’s ci offriva l’aperitivo e con tutti i professori
si proseguiva a parlare. Anni dopo, quando questi professori sono divenuti miei
colleghi, ero ammessa al loro seminario. Uno di loro metteva apertamente in
discussione il proprio paper e tutti gli altri lo criticavano, non per invidia
o altro,, ma per aiutarlo a migliorare. Sembrano cose eccezionali e
incredibili, soprattuto per chi si è abituato al target universitario delle
istituzioni italiane.
Lì non vi era il tempo per “fissarsi”, solo per evolversi.
Mi ero recata a Londra, con le mie forze, contro il papere dei nostri locali –
“ma cosa ci vai a fare non c’è più Popper? e lassù, Popper, è da tempo bello
che dimenticato”-. Il mio progetto di ricerca
riguardava lo psicologismo di Boole e Frege, le leggi del pensiero e le
leggi del pensare, eppure loro, accettandolo e accettandomi, avevano visto ben
più in là: al naturalismo filosofico contemporaneo, senza dimenticare la
metafisica e Cartesio. Tutto ciò mi ha condotto linearmente a interessarmi di
filosofie femministe contemporanee (è quasi un dovere in U.K) e di
sex&gender.
Ha qualche volume in mente in proposito?
Al riguardo ho scritto
migliaia di pagine. E continuo a studiare e scrivere in modo ben poco
tradizionale per il nostro paese, sotto il profilo strettamente filosofico. Vi
è un paper da rivedere. E un volume collettaneo che spero si realizzerà, a
favore, però, della complessità dell’identità personale,. Sono stufa di questa tendenza ad inscatolare le persone in
due stereotipi che fanno comodo solo a chi pensa ben poco, o, come diceva, il
mio fantastico insegnante prete di liceo, chi pensa dall’ombelico in giù.
Vuole sfidare Judith Butler?
Eppure anche a Lei è
attribuita una elevata notorietà.
Non intendo negarlo,
ma mi auguro per internazionalità, lungimiranza, onestà, riflessione, rigore
nei miei studi e nelle mie ricerche. Umiltà. Non per ambizione. Quest’ultima
acceca in filosofia. Corrisponde a una sorta di depilazione mentale.
I suoi maestri?
Maestri? Appigli. I
classici. Rimango poi debitrice, da quando mi sono specializzata al King’s
College, a
“supervisor” d’eccezione, quelli che oggi sono miei colleghi, quali Cristopher Hughes, David
Papineau, Mark Sainbury, Anthony Savile, Scott Sturgeon e ai miei successivi
costanti soggiorni londinesi., Un incontro determinante per il mio
accrescimento filosofico e umano è stato quello con Jennifer Hornsby, ora al
Birkbeck College, nonché Emeritus Fellow del Corpus Christi College, Oxford. In
Italia? Francesco Barone (ci scrivevano lettere quasi quotidianamente), Mario
Trinchero (ci sentivamo molto spesso al telefono), Carlo Cellucci, per umanità
e innovazione, che prosegue con lo scrivere paper e volumi splendidi. E,
soprattutto, Eva Picardi, scomparsa da poco: eravamo in disaccordo filosoficamente
su quasi tutto e per questo dialogavamo su tutto. Non tuttavia su dignità e su
metodologia. Filosofa e amica d’eccezione. Con lei è scomparsa in un attimo
metà di me stessa. E’, un giurista per eccellenza, Stefano Rodotà, che mi ha
donato il senso del diritto “intransigente”, insieme alla dedizione per
l’insegnamento. Anche lui è scomparso, dopo Eva, lasciando un grande vuoto
nella mia esistenza, non solo filosofico, pure esistenziale.
Molto di ciò che è, della sua fama,
della prof. ribelle che ascolta e si dedica agli studenti si deve allora a
Londra e all’U.K. più che all’Italia?
In un certo senso è
così, perché a Londra mi hanno insegnato a fare la filosofa e a insegnare in
certo “modo”, e questo “modo” le assicuro che qui in Italia implica molta solitudine,
ma la gaiezza e il coraggio viene dagli studenti. E poi non creda i nomi
italiani che le ho fatto sono sempre stati molto legati all’estero. Il
Ph.D. Eva Picardi l’ha ottenuto ad Oxford. E ad Oxford continuava a tornare. Conosceva
alla perfezione, oltre l’italiano, l’inglese, il tedesco e leggermente meno il
francese: da ciò era assillata. Eppure nel nostro ultimo viaggio filosofico,
lei calabrese superlativamente affascinante, esteriormente e interiormente,
parlava indifferentemente queste lingue con chiunque, e con la modestia tipica
di Oxford, a chi le chiedeva cosa facesse nella vita rispondeva: “studio
filosofia”.
Concludo
con una domanda personale, ma che forse ci porta a definire il legame tra Lei e
L'italia e la filosofia. Dal King’s è tornata “a casa” perché è morta sua
madre?
Avevo trent’anni. A Londra mi
trovavo bene. Mia madre è morta in pochi minuti a cinquantadue anni per un
ictus. Dovevo rientrare, per adempiere alle sue volontà. In molti colleghi, in
primis Anthony Savile, mi hanno consigliato di lasciare tutto a Londra.
L’Italia, che Antonhy conosce bene, mi avrebbe creato solo sofferenze
lavorative da parte di prepotenti di piccole e grandi misure, e così è andata.
La mia fortuna? Da qualche anno ho ottimi studenti, e torno a casa, pensando
alle loro idee.
[1] Riccardo Malatto (3344903@studenti.unige.it), studente di
filosofia presso l'Università di Genova, è uno dei co-autori, insieme a Daniele
Bonanzinga Fabio Bergaglio e Federico Mottica, del website “L'ultimo Autunno”
in cui si possono trovare pubblicazioni in tema di filosofia, cinema e poesia,
proposte da giovani studenti.